Continuano a proliferare dichiarazioni e articoli più o meno allarmistici e strumentali, che vedrebbero il nostro sistema previdenziale a volte moribondo, a volte barcollante sul ciglio di un baratro, questi articoli hanno in comune un evidente vizio di forma, partono da presupposti e da assiomi che sono distanti dalla verità delle cose, i numeri sulla previdenza italiana, infatti, vengono spesso estrapolati dal contesto sociale ed economico o spesso vengono valutati tenendo i valori troppo aggregati e confondendo la spesa assistenziale con quella per le pensioni. Il sistema previdenziale di un paese non può essere valutato se non nella sua interezza, avendo ben presenti le componenti pensionistiche, assistenziali, demografiche e sociali.

Per questo è necessario che si avviino al più presto i lavori della commissione istituzionale, fortemente voluta dalla Uil e dalla Uilp, per la separazione della spesa assistenziale da quella previdenziale producendo uno studio che mostri in maniera corretta l’impatto delle prestazioni di welfare erogate in Italia. Questa rappresentazione dovrà essere di facile lettura, fornendo dati che tengano ben distinte le prestazioni di natura previdenziale, derivanti da contribuzione, e quelle assistenziali, a carico dell’erario. Ad oggi si continua a fare molta confusione, in qualche occasione in modo strumentale, sulla spesa previdenziale, ad esempio, il dato di un’incidenza del 15,7% sul Pil, spesso presentato, se disaggregato e limitato alle sole misure di natura previdenziale nette scende all’11%. Proporzione che è perfettamente in linea con la media europea, anzi, un punto meno della Francia e mezzo punto meno della Germania. Per quanto concerne la differenza tra contribuzione entrante e prestazioni erogate, vogliamo ricordare che i correttivi, per scongiurare il verificarsi di uno squilibrio ingestibile del sistema, sono stati già operati con una serie di interventi avviati a metà degli anni novanta, i quali hanno introdotto il sistema contributivo, sistema che riconosce al lavoratore un assegno pensionistico direttamente correlato alla propria storia contributiva.

Continuare a fare allarmismo speculando sull’assenza di un dato universalmente condiviso dell’impatto previdenziale e contrapponendo le generazioni dei lavoratori ha il solo risultato di generare paura e diffidenza. Nei pensionati che sentono parlare di fallimento dell’Inps, di ricalcolo dell’assegno percepito con il metodo retributivo, di tagli e di contributi speciali a loro carico, purtroppo, mentre viene troppo di rado evidenziato che le pensioni erogate oggi sono frutto di contributi versati secondo le regole e le norme di volta in volta in vigore; Diffidenza e rassegnazione che coinvolge anche i lavoratori, specialmente giovani, ai quali viene prospettato un futuro grigio, fumoso, con effetti negativi sulla loro gestione del risparmio, soprattutto quello previdenziale. Per questo in Italia è assolutamente necessario avviare un processo di diffusione della cultura previdenziale che fornisca ai cittadini gli strumenti critici per valutare il proprio futuro, per programmare il proprio risparmio previdenziale, per dare loro serenità.

Certo non dobbiamo dimenticare che il sistema italiano è un sistema a ripartizione, e che quindi risente dei mutamenti economici e occupazionali, quindi una corretta valutazione dei dati previdenziali non può prescindere da un confronto con le contingenze storiche, come la recente recessione, il blocco dei contratti e l’aumento della disoccupazione, tutti fenomeni che incidono negativamente sulle casse degli enti. Ma le risposte devono arrivare da un intervento di ampio respiro non ci si può, infatti, limitare a fare cassa sulle pensioni operando misure di contenimento della spesa pensionistica curando così il sintomo ma non il male. Bisogna rilanciare l’economia, sostenendo la domanda interna, creando occupazione stabile, aumentando il potere di acquisto dei lavoratori e dei pensionati anche attraverso una concreta riduzione della fiscalità a loro carico (ricordiamo che in Italia le tasse sulle pensioni sono quasi il doppio della media europea). È doveroso restituire pieno potere d’acquisto alle pensioni in essere operando una serie di interventi come l’introduzione di un nuovo paniere di riferimento per le rivalutazioni, più rispondente alle spese sostenute dai pensionati, recuperando una piena indicizzazione degli assegni ed il montante sottratto in questi anni dal blocco della perequazione, estendendo la quattordicesima mensilità anche ai redditi fino a 2,5 volte il minimo. In questo modo si avvierebbe quel circolo virtuoso che genera buona occupazione e ed incrementa i consumi.

Siamo altresì convinti che il sistema pensionistico di un paese si debba evolvere con la società del paese stesso, per questo è necessario operare dei correttivi all’attuale struttura previdenziale italiana. Bisogna introdurre una flessibilità di accesso alla pensione intorno ai 63 anni esigenza rispondente all’attuale situazione economica e coerente con le logiche di un sistema previdenziale contributivo; al contempo si deve prevedere un meccanismo che tuteli le future pensioni la cui adeguatezza è minacciata dalla forte discontinuità delle carriere; si devono, poi, sanare le storture ancora presenti nel sistema superando, ad esempio, le disparità di genere e valorizzando il lavoro di cura svolto in particolare dalle lavoratrici. Questi interventi sono ampiamente sostenibili dal punto di vista economico, ma per fare ciò dobbiamo uscire dalla attuale logica tutta ragionieristica che persegue l’ottimizzazione economica dimenticando che la funzione principale del sistema è quella sociale.