Si è tenuto a Finale Emilia, ieri 23 maggio, l’evento organizzato da Spi, Fnp, Uilp Emilia Romagna ‘Dieci anni dal sisma La memoria e la ricostruzione’.

All’iniziativa hanno partecipato, tra gli altri, la Segretaria nazionale Uilp Francesca Salvatore e la Segretaria regionale Uilp Emilia Romagna Rosanna Benazzi.

Nel corso del suo intervento Salvatore ha dichiarato: “Immagino una sanità pubblica e universale che curi i cittadini nel territorio e abbia finanziamenti adeguati a potenziare la sanità di territorio e di prossimità, implementare i servizi di assistenza domiciliare integrata; riformare tutto il sistema delle strutture residenziali e semiresidenziali. Una sanità che metta al centro della propria azione la persona. Una vera integrazione tra il sanitario ed il sociale. Una sanità dove non ci siano liste di attesa. Un sistema in cui si possa prenotare rapidamente una visita o un esame semplice e che questa avvenga entro le 24 ore.  Una sanità dove si investono risorse in ricerca e che abbia risorse specifiche volte a riqualificare e ammodernare il patrimonio edilizio pubblico sanitario e assistenziale, digitalizzare il sistema sanitario nazionale. Una sanità che valorizzi tutto il personale addetto, dove il rinnovo dei contratti avvenga per tempo e non quando oramai sono scaduti da anni.

Ma è un attimo e dall’immaginario ci troviamo alle prese con la dura realtà. Certo, oggi siamo in Emilia Romagna, una Regione con un sistema sanitario che funziona. Però non dobbiamo mai dimenticarci ciò che è accaduto due anni fa ad inizio e nel pieno della pandemia che ha messo a dura prova sistemi sanitari “rodati” quali quelli Lombardo e non solo. Credo che sulla SANITÀ SIA ORMAI INELUDIBILE APRIRE UNA RIFLESSIONE SULLE COMPETENZE TRA STATO E REGIONI, che sono figlie della riforma del Titolo V della Costituzione. Tra i limiti della riforma sicuramente il “DECENTRAMENTO DEI POTERI LEGISLATIVI” che nel corso degli anni ha generato difformità normative tra le diverse Regioni, senza contare un “DECENTRAMENTO AMMINISTRATIVO E FISCALE DISTORTO”.

Nella sua domanda mi chiedeva di tornare indietro di dieci anni in realtà è dal 2001, quindi più di venti anni, che la sanità è governata attraverso gli accordi tra Stato e Regioni che hanno fatto sì che il settore si è amministrato con LOGICHE RAGIONIERISTICHE, piuttosto che con investimenti. Da questo punto di vista sono emblematici alcuni dati: nel 2002 il gettito dell’Addizionale Regionale IRPEF ammontava a 4,9 miliardi di euro, mentre nel 2021, ammonta a 12,2 miliardi di euro con un aumento del 155%. E a PAGARE IL CONTO SONO SOPRATTUTTO I DIPENDENTI E PENSIONATI, basti pensare che nel 2002 si versavano mediamente 155 euro pro capite a fronte dei 440 euro nel 2021.

La spesa sanitaria in Italia è passata dal 9% del PIL nel 2010 all’8,8% nel 2019, mentre in Francia e Germania è all’11,2%.  Mediamente in Italia il finanziamento pro capite per la sanità è di 2.599 euro a fronte dei 4.855 euro della Germania, 3.644 euro della Francia, 3.154 euro della Gran Bretagna, solo la Spagna investe meno con 2.451 euro medi por capite. E la crisi pandemica ha messo in luce anche, e soprattutto, i rischi insiti nel ritardo con cui ci si è mossi per rafforzare le strutture territoriali. Tali carenze sono state scaricate, non senza problemi sulle famiglie, contando sulle risorse economiche private e su una assistenza spesso basata prevalentemente o sul ricovero in strutture di lungo degenza o sulle cosiddette badanti. E vale sempre la pena ribadirlo: non utilizzare le risorse del MES è stato un autogoal clamoroso!

E non dobbiamo abbassare la guardia sulle liste di attesa.

Perché con la pandemia abbiamo come dire “trascurato” molti malati cronici, e per i quali bisogna recuperare il tempo perduto. La parola chiave a nostro avviso è PROSSIMITÀ. La sfida che abbiamo di fronte per i prossimi anni sia a livello nazionale sia nelle Regioni è il potenziamento della medicina di territorio e l’implementazione dell’assistenza domiciliare integrata per le persone over 65 anni previsti dal PNRR.

Fulcro dei nuovi servizi saranno I DISTRETTI, E QUINDI I TERRITORI sui quali ruota tutta la nuova organizzazione. Sono previste 1.350 Case della Comunità (di cui 84 in Emilia Romagna), e 400 Ospedali di Comunità. Per noi gli standard e requisiti contenuti nella riforma dovranno diventare LIVELLI ESSENZIALI DI ASSISTENZA (LEA). È un nodo essenziale per assicurare servizi omogenei e garantire il diritto alla salute in tutto il territorio nazionale: DAL NORD AL SUD, DALLE CITTÀ ALLE AREE INTERNE.

E abbiamo anche sollecitato una specifica attenzione sul FABBISOGNO DEL PERSONALE, che dovrà essere potenziato nelle dotazioni organiche, per assicurare i servizi e che dovrà trovare finanziamenti adeguati tra le risorse ordinarie nazionali, anche travalicando il 2026 quando scadranno i finanziamenti del PNRR. La parola chiave che deve essere alla base di tutto ciò deve essere INTEGRAZIONE. Integrazione tra il sociale e il sanitario. Integrazione tra la legge per la non autosufficienza e la riforma della medicina di territorio, soprattutto con le case di comunità.

Non c’è indubbio, infatti, che riteniamo importante per costruire un welfare al passo con i tempi che sia necessario avere UNA LEGGE NAZIONALE PER LA NON AUTOSUFFICIENZA. In questi anni ci siamo battuti per una buona legge sulla non autosufficienza. E finalmente siamo riusciti ad incardinare queste riforme nel PNRR. Per noi va fatta una legge quadro organica, entro l’anno, che affronti 360 gradi il tema della non autosufficienza con un percorso legato alla condizione e non all’età, fondata sul principio di uguaglianza del diritto alle cure e all’assistenza, a carattere pubblico, universale ed uniforme, e finanziata dalla fiscalità generale. È UN ATTO DI CIVILTÀ!

E non dobbiamo mai dimenticarci che sullo sfondo rimane sempre la questione della riforma delle RSA e la loro riorganizzazione all’interno dei servizi territoriali e, soprattutto, del RAPPORTO PUBBLICO PRIVATO che è il tema dei temi. E c’è il tema della partecipazione e dei controlli che devono vedere coinvolti sostanzialmente i vari attori sociali ad iniziare dal sindacato dei pensionati. E sullo sfondo rimane sempre aperto il tema della compartecipazione degli utenti al costo del servizio anche modificando i criteri del calcolo dell’ISEE. È una questione di civiltà e di giustizia sociale.”