Per candidarsi, oggi, alla guida del Paese occorre avere la consapevolezza che alla politica debba essere restituita la sua dimensione fondativa: la capacità di disegnare un progetto di società futura per il bene comune. Compito arduo che richiede coraggio.
Il coraggio sta nell’immaginare un nuovo modello di sviluppo che, rifuggendo da velleitarismi, demagogie e populismi, capovolga la politica dei due tempi e punti sulla crescita come fattore del risanamento. Solo l’attuazione di azioni positive a sostegno della crescita che moltiplichino le opportunità di realizzazione di individui ed imprese, consentirà al paese di camminare sulle proprie gambe.
La crisi, connotata da un’iniziale matrice finanziaria e internazionale, negli ultimi due anni ha investito l’Europa. L’attacco speculativo all’Euro e al debito di alcuni paesi dell’UE è stato possibile perché è mancato un governo politico ed economico dell’UE e questo si è riverberato sull’economia reale, con conseguenze disastrose sul sistema produttivo, sociale e occupazionale.
La ragione principale della crisi è la perdita di centralità e di valore del lavoro. Noi abbiamo sempre creduto che non ci possa essere sviluppo senza lavoro, e oggi, constatati i disastri prodotti dalla finanza senza regole, tutti gli osservatori convergono su questa tesi. Dare valore al lavoro significa riconoscerlo come diritto fondamentale delle persone, come fa la Costituzione, in quanto occasione di espressione di talenti e di promozione sociale. Ma significa anche considerare il lavoro come il mezzo attraverso cui contribuire al bene comune, incentivando l’affermazione di un’etica della responsabilità e dell’impegno con forme trasparenti e condivise di valutazione e riconoscimento del merito.
E’ del tutto evidente, però, che l’insieme di queste proposte e di questi ragionamenti debba essere affrontato in una dimensione sovranazionale: la ripresa economica italiana sarà possibile solo se ancorata all’Europa e alla stabilità economica e sociale dell’eurozona. Ma proprio a livello europeo è tempo, ormai, di un cambio di passo. Fermo restando l’obiettivo del risanamento dei conti pubblici dei vari paesi è necessario attuare una strategia di investimenti per la crescita e la promozione di posti di lavoro sostenibili, stabili e di qualità.
L’Europa deve considerare la dimensione sovranazionale un valore aggiunto e deve attribuire pari dignità costituzionale alla Carta dei Diritti del Trattato di Lisbona per la tutela dei diritti individuali e collettivi. L’Europa deve guardare al Mediterraneo in una prospettiva di “cosviluppo” – obiettivo condiviso e poi abbandonato – per allargare i propri confini a chi condivide i suoi valori e i suoi principi. Bisogna essere consapevoli, insomma, che sono maturi i tempi per gettare le basi di un’Unione politica europea, credibile, affidabile e competitiva, capace di parlare e agire con una sola voce nel contesto internazionale.
In quest’ambito, il lavoro può scaturire da un programma di investimenti che sia ambizioso e articolato, fondato su risorse europee indirizzate verso obiettivi comuni, e che affianchi e sostenga gli investimenti nazionali pubblici e privati. Peraltro, seppur con eccessiva timidezza, cominciano ad emergere segnali di ripresa del manifatturiero che meritano di essere incoraggiati poiché potrebbero rappresentare il volano di quella ripresa economica da tutti auspicata. Chi si candida a governare il Paese, dunque, deve assumersi l’impegno di attuare una politica veramente orientata a promuovere la crescita, valorizzando il lavoro, promuovendo lo sviluppo e realizzando l’ammodernamento del sistema istituzionale del paese. Per fare questo occorre innanzitutto invertire una pericolosa tendenza che tra recessione, bassi salari e basse pensioni ha impoverito milioni di lavoratrici, lavoratori e pensionati. Una situazione non più sostenibile che richiede un intervento profondamente riformatore in grado di invertire la rotta e di far riprendere all’Italia la strada della crescita e dello sviluppo. La UIL è un sindacato indipendente ma non è indifferente alle scelte della politica. Misureremo, dunque, le forze che si confronteranno nella competizione elettorale dalla loro capacità di rispondere a questi temi con responsabilità e misure concrete. E al prossimo Governo la UIL chiederà di dare attuazione alle seguenti cinque proposte.
1) Ridurre le tasse sul lavoro
Per la UIL la riforma del sistema fiscale assume una rilevanza decisiva sia nell’ottica di un sistema più giusto ed equo sia come strumento fondamentale della politica economica di sostegno alla crescita. Tale riforma deve essere la priorità del prossimo Governo e del Parlamento e deve avere come obiettivo primario la valorizzazione del lavoro in funzione del rilancio dell’economia e della ripresa, stabile e strutturale, dei tassi di crescita. Per garantirne il necessario finanziamento, è fondamentale l’emanazione di un provvedimento legislativo che preveda di destinare, automaticamente, alla riduzione delle tasse quanto recuperato ogni anno dalla lotta all’evasione fiscale. Con tali risorse, così reperite, si potrà:
- stabilire un significativo aumento delle detrazioni per lavoratori dipendenti e pensionati; misura, questa, orientata ad una maggiore equità ed al sostegno al reddito di quelle categorie che contribuiscono a gran parte del gettito fiscale. In tal modo, si incrementerebbe il loro potere di spesa e, conseguentemente, aumenterebbero i consumi;
- equiparare la no tax area per i pensionati a quella dei lavoratori dipendenti;
- ridurre la prima e la seconda aliquota Irpef, rispettivamente dal 23% al 20%, e dal 27% al 26%; anche questo sarebbe un intervento capace di determinare un significativo aumento di risorse a sostegno delle fasce di reddito medio-basse;
- prevedere un bonus per i figli ed innalzare l’attuale limite reddituale per coloro che sono fiscalmente a carico migliorando così le condizioni di vita e le possibilità di risparmio delle famiglie;
- rendere strutturale e pienamente esigibile la detassazione del salario di produttività che, inoltre, va estesa anche ai lavoratori del settore pubblico in modo da porre fine ad un’esclusione iniqua e ingiusta che colpisce milioni di lavoratori.
C’è un’altra questione da affrontare. Oggi, quasi il 30% della pressione fiscale è esercitato da Regioni, Province e Comuni: bisogna rettificare i decreti attuativi del federalismo fiscale perché siano tutelati i percettori di redditi fissi. Occorre una correzione dell’Imu: a parità di gettito, bisogna rivedere le aliquote, aggiornare le rendite catastali e, per la prima casa, prevedere l’esenzione totale o, almeno, forti detrazioni o riduzioni legate al reddito Isee. Bisogna trasformare le addizionali Irpef da imposte a sovrimposte, calcolando l’importo sull’Irpef dovuta e non sull’intero imponibile fiscale. Per la UIL è opportuno riunire in un’unica imposta l’Imu e la Tares con l’eliminazione dell’addizionale comunale Irpef. La riforma del nostro sistema tributario, perché sia finanziariamente sostenibile, deve andare di pari passo con il potenziamento della lotta all’evasione fiscale che va condotta attraverso la revisione del sistema di sanzioni, con l’estensione delle misure per il contrasto di interessi alle spese per i servizi alle persone e alle famiglie, con il rafforzamento del ruolo degli enti locali incrociando le banche dati e, infine, con l’intensificazione della lotta all’evasione fiscale in chiave europea. In tale contesto, il cosiddetto redditometro, pur suscettibile di necessari aggiustamenti, costituisce uno strumento utile a rafforzare questo impegno degno di un paese civile.
2) Difendere e creare lavoro
Agire sulla leva fiscale é decisivo non solo per far crescere il salario di chi ha già un lavoro, ma anche per creare direttamente nuova occupazione. Ecco perché la Uil propone a Governo e Parlamento di azzerare le tasse sul lavoro a favore di quelle imprese che, nel prossimo biennio, decideranno di fare assunzioni.
E’ tempo, infatti, di intervenire con strumenti straordinari che incentivino le assunzioni senza rinunciare a quegli ammortizzatori, nuovi o vecchi, con cui si è cercato di evitare irreparabili disastri sociali. Gli effetti della crisi si sono alimentati anche a causa di una perdurante assenza di politiche del lavoro. Ciò si è tradotto nella crescita di una massiccia platea di inattivi, disoccupati e precari, soprattutto nella fascia giovanile. Anche l’aumento repentino dei requisiti pensionistici ha avuto effetti negativi immediati sullo stesso mercato del lavoro. In questi anni il Sindacato ha svolto un ruolo attivo ed importante nella difesa e nel mantenimento dei posti di lavoro nelle aziende in crisi.
Lo strumento della cassa integrazione in deroga ha contribuito in maniera positiva al sostegno anche delle piccole aziende prive di altro ammortizzatore sociale. Bisogna continuare a destinare tutte le risorse necessarie per finanziare questo ammortizzatore sociale e garantire, così, la salvaguardia di aziende e posti di lavoro. In quest’ottica appare coerente l’intervento del legislatore improntato al superamento dell’emergenza e all’individuazione di una “strategia d’uscita” che, accompagnata da una lunga fase transitoria, ridefinisca in una logica di sistema gli strumenti di sostegno al reddito nel nostro Paese. Gli interventi appaiono fortemente condizionati dai vincoli di finanza pubblica e calibrati più in un’ottica di contenimento della spesa che di un vero e proprio ampliamento delle tutele.
E’ il caso della prevista abrogazione dell’indennità di mobilità, uno strumento ampiamente utilizzato in numerosi settori, che anziché essere eliminata, andrebbe profondamente riformata, rileggendone lo stretto rapporto con la cassa integrazione, razionalizzandone interventi e risorse e, soprattutto, creando maggiori momenti di contatto ed interazione con il territorio, finalizzati alla gestione delle crisi ed alla creazione delle condizioni per offrire nuove opportunità occupazionali. Per quanto riguarda le tutele in costanza di rapporto di lavoro, poi, la creazione dei Fondi di Solidarietà Bilaterali rappresenta un ulteriore arretramento del nostro sistema di welfare perché, sposta a carico dei lavoratori e delle imprese i costi dell’ampliamento della platea dei beneficiari. Il nostro mercato del lavoro presenta una non soddisfacente offerta di iniziative volte alla rioccupazione e al placement. Serve quindi un intervento organico di connessione tra gli ammortizzatori e le politiche attive, la cui riforma è stata però ulteriormente rimandata.
Vanno rafforzati e meglio qualificati gli strumenti già oggi disponibili realizzando un reale collegamento tra i vari percorsi di istruzione e formazione e il mondo del lavoro, anche valorizzando e rendendo maggiormente fruibile l’apprendistato. Bisogna contrastare l’abuso e l’utilizzo distorto di tipologie contrattuali di entrata nel mercato del lavoro. I correttivi introdotti possono essere valutati in maniera positiva ma vanno affrontate e risolte alcune criticità (lavoro a termine e causali, associazione in partecipazione in particolare). Per sanare la piaga del lavoro nero, la UIL considera opportuna l’istituzione di una “Agenzia di vigilanza unica contro il lavoro irregolare e sommerso”. Un vero e proprio “polo ispettivo” in cui far confluire tutti gli organismi preposti alla vigilanza evitando in tal modo che si incorra in duplicazioni di ispezioni nei confronti di aziende già controllate. Occorre concentrare gli sforzi e mettere in campo politiche mirate per l’occupazione femminile e, soprattutto, giovanile non dimenticando che una componente importante del mondo del lavoro è costituita anche dai nuovi cittadini e lavoratori immigrati.
Al fine di evitare discriminazioni, è necessario uno sforzo ulteriore per determinare un’effettiva tutela sia sul lavoro che previdenziale. E’ importante, alla luce della nuova composizione socioculturale del pianeta “immigrazione”, che il prossimo Parlamento ridefinisca i nuovi perimetri per un allargamento dei diritti di cittadinanza e di partecipazione al voto. L’emergenza “lavoro” ha anche una declinazione territoriale: il Mezzogiorno deve tornare al centro dell’agenda della politica perché soltanto se cresce il Sud cresce l’intero Paese. Il documento di indirizzo per l’accordo e i programmi dei fondi strutturali europei per il 2014- 2020 rappresenta un’occasione importante.
Bisogna escludere dal Patto di Stabilità Interno il cofinanziamento nazionale dei Fondi Comunitari; allentare il Patto di Stabilità Interno per gli Enti Locali che garantiscono il pagamento dei fornitori entro 90 giorni e/o per i fondi destinati alle opere cantierabili; rendere strutturale il credito di imposta per nuova e buona occupazione giovanile e femminile e per il reinserimento dei lavoratori che usufruiscono di ammortizzatori sociali.
3 ) Rivalutare le pensioni
Il Governo Monti è intervenuto profondamente su un sistema previdenziale che aveva già raggiunto il pieno equilibrio finanziario, come testimoniato ripetutamente da tutte le istituzioni sia nazionali che internazionali, provocando danni gravissimi a migliaia di lavoratrici e lavoratori, a cominciare dai lavoratori esodati.
Solo grazie alla forte iniziativa del Sindacato, il Parlamento ha risolto una parte di questi problemi. Ora bisogna garantire a tutti i lavoratori esodati prima dei provvedimenti Fornero l’accesso alla pensione in base alla precedente normativa. Quella fatta dal Governo Monti è stata la più grande operazione di cassa operata sul nostro sistema previdenziale: sono stati utilizzati i contributi e le pensioni dei lavoratori per la coperture di spese e di voci che nulla hanno a che vedere con la previdenza.
Ecco perché bisogna reinserire nel sistema una parte di queste risorse per finanziare alcuni aggiustamenti necessari. Nel ribadire che i sistemi previdenziali, per funzionare, hanno bisogno di stabilità e certezze normative, la UIL ritiene che il principale problema da risolvere sia quello dell’inadeguatezza economica delle pensioni. E’ necessario prevedere, perciò, una rivalutazione di tutte le pensioni da contribuzione attraverso:
- il ripristino dell’indicizzazione di tutte le pensioni al costo della vita;
- la rivalutazione di tutte le pensioni, valorizzando gli anni di contribuzione effettivamente versata come già avvenuto con l’introduzione della quattordicesima mensilità per le pensioni fino a 700 euro.
Inoltre, devono essere corrette alcune storture presenti nella normativa. In particolare, Governo e Parlamento dovranno:
- riformare i coefficienti di trasformazione assegnando a ciascuna coorte in età pensionabile il proprio coefficiente previsionale;
- ampliare la platea dei lavori usuranti, alla luce della forte elevazione dell’età pensionabile, includendovi settori del mondo del lavoro oggi esclusi;
- reintrodurre il principio di flessibilità e volontarietà dell’età pensionabile di vecchiaia (in un range compreso tra 64 e 70 anni);
- rafforzare il sistema di previdenza complementare, che ha dato buona prova di sé in questi difficili anni per i mercati finanziari, dando concreto sostegno anche alla sua diffusione nel settore del lavoro pubblico, a cui va estesa ad esso la normativa di quello privato;
- riformare la governance di INPS ed INAIL attuando un vero sistema duale con un ruolo delle parti sociali nella definizione e nella verifica del raggiungimento degli obiettivi indicati.
4) Ridurre i costi della politica
Nel febbraio 2011, la UIL avviò, per prima, la campagna per la riduzione dei costi della politica. Quella scelta fu fatta non per cedere alle sirene dell’antipolitica e alle forti spinte populiste presenti nel paese, ma proprio per rappresentare un’idea alta della politica e della sua funzione, sempre più importante nel governo delle società contemporanee alle prese con i problemi che derivano dalla globalizzazione.
Per dare forza e credibilità al proprio ruolo, la politica italiana ha bisogno di una profonda opera di bonifica. Si tratta, da un lato, di riordinare e semplificare l’assetto istituzionale del paese, seguendo quanto già fatto dagli altri partner europei e, dall’altro, di tagliare con decisione gli sprechi e i privilegi che non sono compatibili con l’efficienza e la buona amministrazione. Al riguardo c’è un ritardo colpevole di tutte le forze politiche. In questi anni si sono fatti molti annunci, ma nulla si è voluto fare in concreto.
I costi complessivi delle Istituzioni ammontano ad oltre 11,6 Miliardi di euro. Abbattere del 30% tali costi non significa attentare alla democrazia ma, al contrario, vuol dire offrire una risposta vera e concreta al tema del reperimento delle risorse, circa 3,5 miliardi di euro, da destinare al sostegno della crescita. In quest’ottica occorre agire con decisione attraverso:
- il completamento della riduzione del numero delle Province;
- l’accorpamento dei Comuni sotto i 5 mila abitanti e la soppressione di tutti gli Enti intermedi di programmazione di area vasta;
- la riduzione del numero di componenti degli organi elettivi ed esecutivi a tutti i livelli di governo riducendo all’essenziale gli incarichi e le consulenze di nomina politica;
- la revisione dell’attuale sistema dei rimborsi elettorali ai partiti, legandolo alle spese reali sostenute in campagna elettorale e, contemporaneamente, riducendo il finanziamento dei gruppi parlamentari e consiliari regionali;
- la riduzione drastica del numero delle società pubbliche e la riduzione dei componenti dei consigli di amministrazione.
Sono queste le scelte che avvicinano i cittadini alla politica e all’amministrazione del “bene comune”. Un contributo importante al contenimento della spesa può venire affrontando alcune questioni di carattere istituzionale quali:
- la revisione del Titolo V della Costituzione, riattribuendo alla competenza esclusiva dello Stato alcune materie tra cui la tutela e la sicurezza del lavoro, le grandi reti di trasporto, la produzione e la distribuzione di energia;
- la riduzione del numero dei parlamentari e il superamento del bicameralismo perfetto;
- l’approvazione del codice delle autonomie per ridisegnare sia gli organi sia le funzioni degli Enti locali.
Di tutto ciò la politica dovrebbe occuparsi quando pone il tema del contenimento della spesa pubblica ed è questo l’impegno che chiediamo a chiunque si candidi a governare il Paese. E’ un’operazione che “si può” e “si deve” fare perché ridurre i costi e, soprattutto gli sprechi, della politica non sia un semplice slogan.
5) Ammodernare la Pubblica Amministrazione
La riforma della Pubblica Amministrazione è necessaria per modernizzare e rendere più efficienti i servizi forniti ai cittadini, ma ciò è possibile solo con il coinvolgimento dei lavoratori del pubblico impiego. La UIL ritiene che una politica che deprima la Pubblica Amministrazione e mortifichi il lavoro pubblico sia fortemente contraria agli interessi del Paese. A tale fine è indispensabile che i lavoratori del settore partecipino ai processi di modernizzazione anche attraverso il ripristino e la riqualificazione della dinamica contrattuale, praticamente sospesa negli ultimi anni.
Perché migliori veramente la qualità del servizio pubblico negli ambiti strategici per il benessere dei cittadini, è necessario ricostruire negli operatori e nell’utenza una considerazione positiva della Pubblica Amministrazione sia come datore di lavoro, che si assuma una responsabilità sociale di impresa, sia come erogatrice di servizi efficienti. La spending review varata in estate non ha saputo cogliere le esigenze di razionalizzazione ed ammodernamento del sistema, ma ha rappresentato solo un’operazione di cassa a scapito dei cittadini e dei lavoratori. Occorre modificare questo approccio privilegiando politiche che permettano alla P.A. di svolgere al meglio quel ruolo di servizio ai cittadini ed alle imprese per cui è nata. In tal senso deve essere realizzata una netta definizione tra gli ambiti di intervento della politica e quelli di competenza della burocrazia. Investire nella qualità della Pubblica Amministrazione è condizione di base per dare efficacia all’azione pubblica in un quadro valoriale in cui imparzialità, buon andamento e legalità siano riconosciuti come elementi essenziali per favorire e garantire la crescita socioeconomica del Paese.
Emblematica è la condizione del Servizio Sanitario Nazionale, uno dei pilastri più importanti del nostro sistema di welfare messo in discussione dai continui tagli operati, spesso, in modo lineare e non razionale. Ma sono molti altri ancora i capitoli – non ultimo quello della non autosufficienza – che meritano di essere affrontati con un approccio costruttivo e responsabile. Alle risorse necessarie per il buon funzionamento del sistema di welfare può e deve concorrere la riduzione degli sprechi e la responsabilizzazione dei centri di spesa. È inoltre decisivo, per sostenere la crescita, investire risorse significative nella scuola pubblica nell’università, nella ricerca pubblica e privata e nell’innovazione, invertendo la tendenza fortemente negativa rappresentata dai tagli lineari operati, negli ultimi anni, in questi settori.
Il potenziamento dell’offerta di istruzione e formazione dovrà essere orientato al raccordo con le politiche europee per una società della conoscenza. Lo sviluppo delle competenze degli studenti nelle aree dei linguaggi e logico-matematica e l’innalzamento dei livelli generali di istruzione e formazione devono diventare un benchmark irrinunciabile per il paese che solo così disporrà di un capitale umano adeguato alla crescita nel mondo globale. Tutto questo non si fa senza investimenti pubblici – perché sia buona, la scuola deve lavorare per un avvenire troppo lontano per attrarre adeguati investimenti privati – e senza un modello coerente e controllabile nella sua attuazione di ridisegno del sistema in cui, ancora una volta, centrale è la dimensione negoziale e della condivisione dei lavoratori e dell’utenza. Oltre alle cinque proposte sin qui elencate, la Uil ritiene che sia opportuno avviare una riflessione e una discussione su alcune questioni, di seguito elencate, altrettanto decisive dal punto di vista sociale ed economico.
Rappresentanza e partecipazione
Il ruolo e la funzione del sindacato nella valorizzazione del lavoro e nella difesa degli interessi dei lavoratori può passare anche attraverso l’attuazione di un sistema di rappresentanza coerente con i modelli contrattuali ampiamente applicati a seguito delle recenti riforme interconfederali. Spetta alle parti sociali dare applicazione pratica a quel sistema definito, nelle sue linee generali, con l’accordo del 28 giugno 2011. L’intervento legislativo avrebbe una sua ragion d’essere solo a sostegno di quanto pattuito dalle forze sociali, naturalmente titolari di una specifica competenza in materia. Peraltro, quei sistemi contrattuali e di rappresentanza – che hanno prodotto risultati molto apprezzabili nonostante le difficoltà generate dalla recessione – assumono una concreta efficacia in una dimensione partecipativa delle relazioni industriali. L’obiettivo strategico è il superamento della crisi e l’avvio di una fase di sviluppo che possa partire direttamente dai luoghi di lavoro. Percorsi condivisi per l’aumento della produttività, ad esempio, frutto di un’autentica partecipazione del sindacato e dei lavoratori alle scelte dell’impresa, possono determinare incrementi salariali e, successivamente, occupazionali segno di una ripresa possibile e auspicabile nelle singole realtà coinvolte e, poi, nel territorio.
Il valore della coesione sociale
La coesione sociale è un valore che deve essere ricercato e vissuto come leva per uno sviluppo condiviso e diffuso. Intesa come strumento e come opportunità per l’affermazione di interessi collettivi, la coesione sociale può ritrovare una sua manifestazione concreta anche nel consolidamento dello Stato sociale – seppur modernamente declinato – frutto delle decennali conquiste dei lavoratori.
Più in generale, dunque, l’azione di rilancio e l’attuazione della crescita si deve sostanziare nella pratica di un’etica della responsabilità di tutti, cittadini e loro rappresentanti. La capacità di ascolto della politica, perciò, diventa la premessa ineludibile alla costruzione di scelte efficaci in quanto condivise dal Paese. Perché ciò si realizzi, occorre far leva anche su un grande e peculiare patrimonio presente nella società italiana. L’Italia è ricca di corpi intermedi e associazioni portatori di istanze sempre più generali che rappresentano un grande valore, testimoniato soprattutto dal permanere di una reale capacità di rappresentanza fondata sulla partecipazione a fronte della crisi evidente di fiducia nei confronti della politica da parte dei cittadini.
Noi abbiamo ben chiari i diversi compiti e le diverse responsabilità del Governo, del Parlamento e delle parti sociali, ma sappiamo bene che è proprio dalla dialettica del confronto che sono derivati i risultati migliori, ogni volta che si è cercato nel nostro paese un consenso più ampio e diffuso alla definizione delle soluzioni da dare ai grandi problemi nazionali. 8 La condivisione con le parti sociali di politiche per uscire dalla crisi e tornare a crescere è il valore aggiunto venuto meno in questi anni e che deve essere ricercato e praticato, con serietà e responsabilità, nella prossima legislatura.
L’impegno per l’Europa Federale
Il nuovo Governo e il nuovo Parlamento devono impegnarsi affinché l’Italia svolga un ruolo di leadership che, anche in vista delle elezioni per il Parlamento europeo del 2014, porti entro tempi certi e definiti alla costruzione di un vero e proprio Stato Federale Europeo. Solo l’attuazione di questa decisa scelta permetterà all’Europa di attuare efficaci politiche di sviluppo e di rafforzare il suo ruolo nel complesso scenario internazionale caratterizzato da una sempre maggiore globalizzazione.
L’Europa Federale deve essere costruita, in un processo condotto democraticamente, definendo i nuovi ambiti di legislazione concorrente ed esclusiva assegnati al livello federale e a quelli nazionali e regionali, in un ridisegno delle aree di sovranità e dei poteri delle istituzioni elette.
Strategica in questa ridefinizione è la priorità da assegnare alle politiche dello sviluppo che, in un mondo globale, possono trovare la loro affermazione solo grazie ad un ruolo autenticamente politico dell’Europa.