La legge 328 è stata fortemente voluta dai Sindacati dei pensionati di Cgil, Cisl, Uil, consapevoli della necessità di aggiornare un quadro normativo assolutamente inadeguato a far fronte alle mutate esigenze dei cittadini. Come ha ricordato Silvana, infatti, prima della 328 era in vigore la legge Crispi del 1890.

Per questo, già nel 1994, come Spi, Fnp, Uilp fummo i promotori di una legge di iniziativa popolare per una legge quadro di riforma dell’assistenza, per la quale si raccolsero circa 1 milione di firme. Da allora, fino all’approvazione della legge 328, nell’ottobre 2000, svolgemmo una continua azione di pressione sui Governi e i Parlamenti, attivammo un confronto con le istituzioni, organizzammo una vasta mobilitazione, che si intensificò per tutto il 1999 e nel 2000, nelle ultime settimane prima dell’approvazione della legge, con manifestazioni nazionali e territoriali, presidi, invio massiccio di fax ai senatori.

Spi, Fnp, Uilp diedero il loro contributo anche per quanto riguarda i contenuti della legge, in un contesto, quello dei governi di centro sinistra della seconda metà degli anni Novanta, in cui il sindacato confederale aveva un ruolo forte e riconosciuto.

Il nostro impegno è proseguito anche successivamente all’approvazione della legge, per la sua applicazione a livello regionale e locale, soprattutto dopo la riforma del Titolo V della Costituzione.

La legge 328 ha avuto davvero un carattere di forte innovazione e ha cercato di dotare il nostro Paese di un sistema di assistenza moderno.

Per questo, dobbiamo parlare di bisogni, ma anche di diritti, perché uno degli elementi positivi della legge 328 è aver evidenziato il diritto di tutti i cittadini a vedere garantiti la qualità della vita, le pari opportunità, la non discriminazione, i diritti di cittadinanza.

Oggi però si corre il serio rischio che i suoi principi ispiratori: universalità, equità sociale, solidarietà, autogoverno e partecipazione dei cittadini, siano messi da parte.

A mio parere, l’aspetto che si sta mettendo soprattutto in discussione è proprio l’universalità dei servizi sociali, che era evidenziata nella legge 328, anche se poi ovviamente si prevedeva un accesso in via prioritaria ai soggetti in condizioni di maggiore fragilità o bisogno.

Oggi al concetto di universalità si sta sostituendo il concetto di universalismo selettivo, motivato principalmente da una carenza di risorse e dalla necessità di rispettare i vincoli di bilancio.

Su questo voglio fare due considerazioni.

Innanzitutto, ci sono ancora forti margini di recupero di risorse da: evasione ed elusione fiscale, riduzione degli sprechi, razionalizzazione della spesa, buona programmazione e pianificazione, ecc. Quindi le risorse si possono trovare e non è giustificato il taglio drastico delle risorse per il sociale che è avvenuto negli ultimi anni.

Seconda considerazione, o meglio preoccupazione: vedo il forte rischio che da questo universalismo selettivo siano tendenzialmente escluse le persone anziane e pensionate, non dico per sempre ma almeno oggi. Ci sono segnali preoccupanti.

Consideriamo ad esempio il Fondo nazionale per le non autosufficienze e il relativo Piano nazionale, su cui è in corso un Tavolo di confronto presso il Ministero del lavoro al quale partecipiamo come Uilp, insieme alla Uil. E avere un luogo di confronto è sicuramente un dato positivo. Nella assoluta inadeguatezza degli stanziamenti del Fondo, si stanno però individuando i soggetti sui quali concentrare le risorse e si sta identificando una platea di persone disabili gravissime. Mentre per le persone disabili gravi si dovrà aspettare. Questa scelta, che ovviamente non possiamo contrastare perché stiamo parlando di persone in condizioni di assoluto bisogno, che hanno il sacrosanto diritto di avere maggiori servizi e interventi, oggi tuttavia esclude quasi totalmente le disabilità legate all’invecchiamento. Ed è quasi paradossale se pensiamo che il Fondo nazionale per le non autosufficienze è stato creato proprio a seguito delle mobilitazioni dei Sindacati dei pensionati di Cgil, Cisl, Uil ed è stato istituito nel 2007 proprio nell’ambito di un confronto costruttivo tra governo e sindacati.

Consideriamo poi il disegno di legge delega per il contrasto alla povertà. Come ha ricordato Silvana,  in origine nel testo si parlava di un riordino delle prestazioni di natura assistenziale e anche di natura previdenziale sottoposte alla prova dei mezzi. Il che era assolutamente inaccettabile, perché la previdenza non ha nulla a che fare con l’assistenza. Siamo riusciti, grazie alla nostra mobilitazione, ad ottenere un emendamento del governo che stralcia le prestazioni previdenziali.

Ora, noi siamo convinti che una misura universale di contrasto alla povertà sia assolutamente necessaria,  tuttavia questo disegno di legge ha aspetti che ci preoccupano.

Il testo prevede la razionalizzazione delle prestazioni assistenziali, tra cui ovviamente ci sono anche le pensioni e gli assegni sociali. E come si attua questa razionalizzazione? Cito: “Superando le differenze categoriali e introducendo principi di universalismo selettivo nell’accesso”, che tengono conto dell’Isee. Ora, l’Isee è un indicatore della situazione economica che è stato fortemente voluto dalla Uil e anche dalla Uilp, perché in precedenza capitava troppo spesso che a ricevere le prestazioni assistenziali e sociali, pagate dalla collettività, non fossero i più bisognosi, ma i più furbi. Ma abbiamo poi verificato che l’Isee come è oggi strutturato penalizza le persone sole, con la casa di abitazione di proprietà e con qualche risparmio. In definitiva, penalizza quindi moltissimi anziani, soprattutto donne, che vivono soli, che hanno acquistato con tanti sacrifici la casa in cui vivono e che spesso con altrettanti sacrifici hanno messo da parte qualche soldo per affrontare eventuali emergenze, malattie, disabilità.

Per questo, insieme alla Uil, stiamo elaborando alcune proposte per chiedere modifiche che rendano questo strumento più equo.

Ora, se si applicherà l’attuale Isee per attribuire l’assegno sociale, ci chiediamo quanti anziani che oggi avrebbero diritto a questa prestazione, che ricordo si dà alle persone anziane in condizione di povertà, lo potranno ricevere in futuro.

Il disegno di legge prevede poi che i beneficiari di questa misura, sempre nella logica dell’universalismo selettivo e della scarsità di risorse, siano in primo luogo i nuclei familiari con figli minorenni, poi i soggetti con difficoltà a essere ricollocati sul mercato del lavoro, e poi via via estendendo la platea, sulla base delle risorse che derivano dalla razionalizzazione delle prestazioni assistenziali prima citata. Allora abbiamo la preoccupazione che le risorse necessarie si troveranno ‘razionalizzando’, vale a dire riducendo, le prestazioni assistenziali rivolte alle persone anziane. Inoltre, notiamo la stessa logica utilizzata per l’identificazione dei beneficiari del Fondo nazionale per le non autosufficienze. In assenza di risorse per tutti, si fa una graduatoria delle persone in difficoltà e le persone anziane sono anche in questo caso in fondo alla lista e potranno ricevere un qualche aiuto solo in futuro, se si troveranno i fondi.

A monte di queste scelte, o a loro sostegno, c’è la diffusione di un messaggio pericoloso: oggi, si dice, i pensionati e gli anziani stanno meglio di tante altre fasce di cittadini. Meglio dei giovani, che non trovano un lavoro o hanno solo occupazioni precarie. Meglio degli adulti, che il lavoro lo perdono e faticano a trovarne uno nuovo. Meglio delle famiglie numerose. Meglio dei disabili gravissimi. Si sottovaluta che ci sono milioni di pensionati e anziani in condizioni di difficoltà. Che le persone anziane sole, in larga maggioranza donne molto anziane, sono a forte rischio di povertà e di esclusione sociale. Ma soprattutto si lancia un messaggio pericolosissimo di frattura sociale e generazionale.

Questo non si può accettare. Non si può dar vita a una guerra tra poveri e tra chi è in condizione di bisogno.

Oltretutto, va proprio in direzione opposta allo spirito della legge 328.

Un altro obiettivo fondamentale della legge 328 che non solo non è stato raggiunto, ma da cui mi sembra ci stiamo allontanando ogni giorno di più, era assicurare un quadro normativo certo e uniforme su tutto il territorio nazionale e ottenere che il diritto all’assistenza fosse garantito in modo uguale in ogni parte d’Italia. Ne ha parlato diffusamente Silvana.

Detto tutto questo, sono convinto che la legge 328 sia ancora importante, per il sindacato, per la Uilp e per le persone anziane.

Innanzitutto, va detto che uno dei principali terreni della nostra contrattazione territoriale come Uilp e come Sindacati dei pensionati confederali nasce proprio dalla legge 328, soprattutto per quanto riguarda i piani di zona e l’integrazione sociosanitaria. Noi presentiamo le nostre piattaforme rivendicative agli enti locali, firmiamo protocolli con i Comuni e partecipiamo ai tavoli di confronto con le Regioni. È un ruolo fondamentale quello che svolgiamo, che dobbiamo ulteriormente potenziare e pubblicizzare.

Tutta la Uil deve impegnarsi per rafforzare le sinergie tra il livello confederale, le categorie, il patronato Ital per quanto riguarda le politiche sociali, che sono centrali per la vita dei cittadini. In questo modo possiamo rafforzare la nostra presenza e visibilità nei territori, ottenere risultati concreti per i nostri iscritti e per tutti i cittadini, recuperare consenso.

Gli obiettivi che si proponeva la legge 328 oggi sono ancora più attuali di ieri, per gli effetti della gravissima crisi che ha colpito e sta ancora colpendo il nostro Paese.

Dal 2000, la povertà è aumentata fortemente. È cresciuta l’esclusione sociale. È cresciuta la disoccupazione,  soprattutto tra i giovani e anche tra i lavoratori adulti.  Sono cresciute le disuguaglianze. Si è approfondito il divario tra i molto ricchi e il resto della popolazione. Per la prima volta l’allungamento della durata media di vita si è fermato.

Dobbiamo quindi impegnarci tutti per attuare quello che la 328 si proponeva.

Si deve realizzare una vera integrazione tra servizi sociali e sanitari, soprattutto per quanto riguarda le malattie croniche, le disabilità, la non autosufficienza, per dare risposte a una popolazione che invecchia.

Si deve realizzare una rete integrata di servizi e interventi, con progetti flessibili e personalizzati, per dare risposte a disoccupazione, inoccupazione ed esclusione.

Si deve realizzare una piena integrazione lavorativa, familiare e sociale, delle persone con disabilità, attraverso percorsi individuali e mirati.

Si devono dare risposte alle persone anziane non autosufficienti e alle loro famiglie.

Si deve potenziare il monitoraggio e la verifica dei risultati, un aspetto fondamentale della legge 328 che è stato pochissimo attuato.

Si deve costruire solidarietà sociale, promuovere la partecipazione dei cittadini, valorizzare il contributo delle organizzazioni sindacali e delle associazioni di volontariato, che erano tra i punti più innovativi della legge 328. Tutti elementi necessari per arginare la rottura della coesione sociale, la frattura tra le generazioni, la paura che isola sempre di più le persone, ma anche l’integralismo e le derive antidemocratiche che purtroppo si diffondono in Italia e in tanti Paesi europei.

Ed è proprio partendo dall’innovazione sociale, dai diritti e dai bisogni delle persone più fragili, da efficaci politiche di inclusione e di contrasto all’emarginazione economica e sociale, che si può costruire un nuovo modello di sviluppo, che può portare nuova buona occupazione, innovazione e crescita. Noi lo affermiamo da tempo.

Ad esempio, realizzare politiche efficaci di inserimento delle persone con disabilità e di promozione della loro autonomia, vuol dire anche favorire investimenti, innovazione e ricerca nelle nuove tecnologie, nella medicina, nella comunicazione, nella protesica, nella robotica, nella domotica. Vuol dire adattare le città, le abitazioni, i trasporti pubblici, le modalità di lavoro alle esigenze delle persone disabili.

O ancora, favorire, sostenere e agevolare l’autonomia delle persone anziane non autosufficienti e la loro permanenza nei propri ambiti familiari, vuol dire anche in questo caso sviluppare i settori della protesica, della domotica, della robotica. Vuol dire realizzare e sperimentare modalità abitative innovative (ad esempio il cohousing) rivolte alle persone anziane, ma non solo, che valorizzino le relazioni e la solidarietà tra le generazioni e l’innovazione tecnologica. Vuol dire realizzare nuove modalità di strutture residenziali e semiresidenziali, nuovi centri diurni (anche queste strutture previste nella legge 328). Strutture aperte al territorio, ai cittadini. Strutture diverse da quelle che oggi sono purtroppo la norma, luoghi che nel migliore dei casi sono tristi ghetti, nel peggiore dei casi luoghi dove si commettono violenze e abusi nei confronti delle persone anziane e disabili ricoverate. Qualcosa si sta facendo in alcune Regioni, penso ad esempio al Veneto, all’Emilia Romagna, alla Toscana. Sperimentazioni da diffondere, che non devono essere più eccezioni, anche all’interno delle stesse Regioni in cui sono realizzate.

Questi progetti avrebbero ripercussioni sul fronte dell’occupazione anche in altri settori, ad esempio in edilizia e nei servizi di assistenza.

Dobbiamo quindi recuperare e rilanciare lo spirito della legge 328 e dar vita a un vasto piano di interventi sociali che possono aiutare i cittadini italiani in condizioni di difficoltà e al tempo stesso rilanciare crescita, sviluppo e coesione.

Romano Bellissima, Segretario generale Uilp
Roma, 5 luglio 2016