I testi degli interventi di Pietro Larizza e Domenico Proietti.

La Uil ha organizzato lo scorso 3 aprile a Roma un convegno dal titolo “Il futuro degli enti previdenziali”. Il convegno è stato aperto da una relazione di Pietro Larizza e concluso da Domenico Proietti, segretario confederale Uil. Qui di seguito, pubblichiamo la relazione di Pietro Larizza e la sintesi delle conclusioni di Domenico Proietti.

Il futuro degli enti previdenziali Relazione di Pietro Larizza.

Il tema dell’accorpamento degli enti previdenziali è stato inserito all’ottavo posto tra i dodici punti prioritari indicati dal Governo per rilanciare l’azione programmatica. Il governo ha indicato un obiettivo esplicito: creare risparmi per le casse pubbliche grazie alla fusione degli Enti Previdenziali. In realtà l’unificazione degli Enti, così come prospettata, non solo non comporta nel breve e medio periodo un reale abbattimento dei costi ed un conseguente contenimento della spesa (come notato dalla stessa Corte dei Conti), ma deve prevedere spese aggiuntive per armonizzare i vari comparti. Risparmiare mediante unificazione, vuol dire adottare le leggi economiche universali che sono molto chiare: unificare e ridurre le strutture fisiche; disporre di un solo sistema informatico; un sistema unificato di servizi; unificazione dei sistemi organizzativi; una selezione della dirigenza. C’è anche la riduzione del personale, che in questo caso significa ricollocazione nell’ambito del sistema pubblico. Senza sollevare oggi obiezioni sindacali sulle conseguenze organizzative, economiche e contrattuali, poniamo una domanda assumendo il punto di vista degli utenti dei servizi: un unico grande ente offre maggiore efficienza per le prestazioni cui hanno diritto? È possibile razionalizzare e risparmiare in modo diverso, senza ridurre la qualità del servizio? Partiamo da alcuni punti critici degli Enti interessati.

INPDAP

Il passaggio all’Inpdap delle competenze per il pagamento delle pensioni di tutto il pubblico impiego è avvenuto nel 1998, e solo dall’ottobre del 2005 tale pagamento è andato a regime anche se restano problemi irrisolti. Un sistema previdenziale unificato tra “la previdenza da lavoro pubblico e quella da lavoro privato”, dovrà innanzitutto gestire le differenze non piccole tra l’uno e l’altro, compresa la prospettiva di allargare a tutti la previdenza complementare. Presso l’Inpdap c’è inoltre la Gestione separata per i dipendenti dello Stato che, prima, era a carico del Ministero del Tesoro. Tale gestione è finanziata, oltre che dai contributi previsti dalla legge, anche da un’aliquota aggiuntiva a carico del bilancio statale, che varia in rapporto all’ammontare della spesa complessiva delle prestazioni pensionistiche dei dipendenti statali. In un soggetto accorpato che gestisca previdenza pubblica e previdenza privata, non potrebbero convivere a lungo, senza creare grandi problemi amministrativi, diversi sistemi contributivi, diversi calcoli pensionistici e possibilità diverse per la previdenza integrativa.

INPS

L’Inps conosce già i problemi e i costi dei trasferimenti e accorpamento di altri enti. La fusione dell’Inpdai nell’Inps ha avuto un costo altissimo per l’Istituto, il quale ha visto confluire e gravare sulle proprie casse 93.000 dirigenti collocati a riposo con una pensione alta, e un disavanzo dell’ex Inpdai di 2.159 milioni di euro ripianato, di fatto, dagli avanzi del Fondo lavoratori Dipendenti; un fondo che risulta in attivo di 1.551 milioni di euro se calcolato al netto delle perdite degli ex fondi speciali trasporti, telefonici, elettrici ed ex Inpdai. L’Inps gestisce inoltre tutta una serie di altre voci non previdenziali, con linee di confine opache tra prestazioni previdenziali e prestazioni di tipo assistenziale. Un intreccio scientificamente indistinto tra diritti e solidarietà, che né l’Istituto né la politica hanno voluto fino ad oggi distinguere con la separazione. Una composizione poco trasparente dei dati di bilancio che non permette una vera analisi dei capitoli di spesa, creando con ciò un danno reale alla valutazione dei costi della spesa pensionistica, presente e futura. La separazione netta e definitiva tra assistenza e previdenza non è una fissazione della UIL, ma è una necessità per distinguere i diritti che nascono dalla prestazione lavorativa da quelle della solidarietà, che la collettività riconosce come valore. Tra previdenza e assistenza sono diverse le finalità e le fonti di finanziamento, e tuttavia, a livello nazionale ed europeo, si continua nella classificazione unica di “spesa previdenziale” con una vittima predestinata: la spesa pensionistica.

INAIL

In un dibattito come quello che si sta sviluppando nel Paese, un’attenzione particolare deve essere rivolta all’assicurazione contro gli infortuni sul lavoro. Un settore nel quale sono sconsigliabili operazioni affrettate che possano compromettere il bisogno di sicurezza che emerge, anche in modo drammatico, dal mondo del lavoro. Qui non si tratta di semplici prestazioni assicurative, ma di una funzione sociale assegnata al sistema pubblico per salvaguardare la sicurezza del lavoratore e il suo inalienabile diritto alla salute. Il nostro Presidente della Repubblica ha più volte sottolineato la necessità di porre fine al dramma delle morti bianche sul lavoro, e a chiesto di sviluppare in maniera più efficace la politica per la sicurezza con tutti i necessari controlli preventivi volti a realizzarla. Anche oggi, vogliamo ringraziarlo pubblicamente per questa sollecitazione che condividiamo. In un mondo lavorativo frammentato, come quello che si è configurato negli ultimi dieci anni, la prevenzione e l’assicurazione per gli infortuni collegati all’attività lavorativa aumenta la responsabilità pubblica nella tutela delle persone. Noi restiamo fermamente convinti della necessità di preservare il carattere pubblico degli strumenti assicurativi e, nel contempo, crediamo che un istituto che li garantisca nel modo migliore debba mantenere autonomia gestionale e specificità operativa. Anche nei paesi dell’UE l’assicurazione infortunistica costituisce un sistema autonomo che si basa sull’obbligatorietà dell’assicurazione. L’INAIL, in Italia, assicura oggi circa 3 milioni di aziende e 17 milioni di lavoratori. Accorpare l’Istituto all’interno di un grande contenitore polifunzionale, significa sottovalutare la particolarità di questa funzione sociale riguardo al bene primario della tutela del lavoro. I criteri puramente contabili non possono essere l’unico o il prevalente parametro di riferimento: dietro i numeri, i tagli, gli accorpamenti e le razionalizzazioni c’è infatti l’efficacia della funzione pubblica sulla vita delle persone, con i loro bisogni ed i loro diritti. Anche dal punto di vista della razionalità operativa e dei costi di funzionamento, tutte le esperienze ci dicono che accentuando la specializzazione, soprattutto nella prevenzione degli infortuni, si realizza un forte contenimento delle spese in quanto si alleggerisce di molto il costo sociale ed economico che tali eventi fanno gravare sulla collettività. In definitiva, ci sono fondati motivi interni e esperienze internazionali, che ci consentono di affermare che le attività degli Enti a vocazione assicurativa sono difficilmente integrabili con quelle di istituti prettamente previdenziali-assistenziali. Ho fatto una breve panoramica sui tre enti maggiori sapendo perfettamente che le scelte che li riguardano comprendono anche quelli minori che trattano materie previdenziali o assicurative. Le fusioni, e nuovi criteri di razionalità funzionale, riguarderanno infatti anche l’Ipsema, l’Enpals, l’Ipost.

LA NOSTRA PROPOSTA

Tutti gli Enti grandi o piccoli sono importanti, ed esistono in quanto assolvono a una funzione di servizio che la collettività ritiene necessaria. Le attività non sono quindi sopprimibili, si possono invece discutere gli strumenti per esercitarle. Noi esprimiamo riserve e perplessità motivate sulla decisione annunciata di accorpare tutti gli enti in un unico soggetto giuridico. Non vogliamo però limitarci al dissenso, ma offrire un contributo alla soluzione dei problemi: quando esistono e nei punti in cui si manifestano. Se si vuole fare una riflessione seria, utile e producente sull’insieme degli Enti previdenziali italiani, bisogna partire da un’altra priorità: il miglioramento dell’efficacia e dell’efficienza delle prestazioni offerte agli utenti. Questo deve essere l’obiettivo imprescindibile dell’azione riformatrice. La qualità e l’efficienza del servizio sono le pre-condizioni da soddisfare per ogni ipotesi di intervento strutturale. Dai tanti Enti che operano emergono tre soli campi di attività: la previdenza; le assicurazioni sul lavoro; l’assistenza. I primi due nascono da diritti negoziati, il terzo invece consolida la coesione sociale mediante la solidarietà sostenuta dalla finanza pubblica. Sono tre filiere distinte del nostro sistema sociale che è bene restino tali operativamente. Si dovrebbe perciò puntare a tre Enti. Nella realtà, sapendo come è organizzata la gestione dell’assistenza, sarebbe controproducente e costoso separarla dalle strutture tecniche e informatiche dell’Inps. Lo schema gestionale per materie omogenee potrebbe perciò essere di due Enti. Un Ente unico con due missioni distinte: la previdenza e l’assistenza. Tutta la previdenza dei settori pubblici e di quelli privati e, a fianco, un settore autonomo di attività, interno allo stesso Ente, che gestisca con un proprio bilancio parallelo tutte le prestazioni assistenziali, registrando i finanziamenti e i destinatari. In definitiva, nello stesso soggetto giuridico ci deve essere gestione separata, anche organizzativamente, senza commistione finanziaria di alcun tipo tra previdenza e assistenza. Il secondo sarà un Ente unico di natura assicurativa. Questo ci sembra un assetto di sistema coerente e funzionale verso il quale si possono orientare la politica e le parti sociali interessate. Una riorganizzazione che, tra le altre cose, permetterebbe finalmente quella effettiva separazione tra spesa previdenziale e spesa assistenziale che le confederazioni, e la UIL in particolare, chiedono da anni senza trovare mai risposte soddisfacenti. Creare un Ente che gestisca in modo autonomo i due regimi di prestazioni, significa non solo separare contabilmente le spese di previdenza da quelle di assistenza, ma significa anche separarle dal punto di vista politico, rendendo chiari i confini che separano i diritti dalla solidarietà. È bene infatti ricordare che tutte le prestazioni che uno Stato socialmente responsabile decide di mettere a disposizione delle fasce più deboli e svantaggiate del Paese, sono interventi che devono essere finanziati dalla fiscalità generale, con una ripartizione solidale della spesa tra tutti i cittadini senza interferenze con i contributi previdenziali dei lavoratori: questi contributi devono avere una sola ed esclusiva finalità previdenziale, senza distrazioni o sottrazioni di risorse.

GOVERNANCE

La riforma razionale degli Enti deve prevedere obbligatoriamente un modello di governabilità coerente con gli obiettivi delle ristrutturazioni, sia per la gestione del sistema che per interessi degli utenti. Noi siamo favorevoli al mantenimento del sistema duale e riteniamo sia necessaria una più netta separazione tra l’attività di direzione amministrativa e l’attività di indirizzo strategico, prendendo a modello dal nostro ordinamento la riforma del diritto societario. Nella sua applicazione pratica, questo schema dovrà essere rimodulato in funzione delle caratteristiche degli Enti che assolvono compiti di interesse pubblico destinati al mondo del lavoro e alle imprese. La nostra idea di governo è quella di un moderno sistema duale, prevedendo per ciascun Ente un organo di gestione, assimilabile alla figura di un amministratore delegato, e un Consiglio di Indirizzo e Vigilanza. Un organo di gestione che comprenda la rappresentanza legale dell’Ente; quindi il CIV, rafforzato da effettivi poteri e da una struttura adeguata, che esercita la rappresentanza politica degli interessi e delle finalità pubbliche. Da ciò l’evidente conseguenza per i CIV, che debbono poter esercitare efficacemente e pienamente le responsabilità di indirizzo e vigilanza. Oggi registriamo invece un forte squilibrio tra il grado di rappresentanza che le forze sociali hanno nel sistema e l’effettiva possibilità di indirizzo e vigilanza che esercitano negli Enti. Le forze sociali, per le stesse finalità degli Istituti, assolvono un ruolo fondamentale per il ruolo pubblico degli Enti, e ogni tentativo politico o burocratico di ridurle a un mero ruolo consultivo deve essere considerato un abuso contro la rappresentanza generale degli interessi legittimi del lavoro e dell’impresa. Proprio per ragioni di rappresentanza legittima degli interessi che rappresentano, i sindacati hanno difeso i Comitati provinciali di Inps e Inpdap che si volevano abolire. La presenza di questi Comitati sul territorio garantisce infatti la possibilità per i lavoratori di trovare una soluzione delle controversie più rapida, meno costosa e più equa. Se invece della passione polemica contro i sindacalisti che ne fanno parte, qualche commentatore avesse chiesto a cosa servono, forse ci sarebbero state meno disinformazioni. C’è un elemento di analisi inconvertibile: l’abolizione avrebbe creato un aumento notevole dei ricorsi per via giudiziaria con nuovi costi, allungamento dei tempi e un danno diretto agli interessi dei lavoratori. Si può discutere sull’opportunità di una semplificazione e un riordino dei Comitati provinciali e regionali, ma per noi la loro funzione è indispensabile: sono infatti uno spazio di democrazia e comunicazione sociale che il sindacato intende difendere. Prima di concludere mi sembra giusto attirare l’attenzione su due altre questioni, che pur non essendo strettamente collegate al tema del riordino degli Enti, rivestono un interesse generale e certamente non sono estranee alle riforme del sistema. Alludo alla questione delle totalizzazioni e delle regole alla base del calcolo della pensione. Anche se importanti passi in avanti sono stati effettuati con recenti provvedimenti, la soglia dei 6 anni di versamento necessari per poter ricongiungere i contributi versati in diverse gestioni previdenziali, è un limite non solo troppo alto ma anche incomprensibile. Non va infatti dimenticato che per le nuove generazioni di lavoratori, passare, con brevi percorsi di lavoro, da una forma di lavoro autonomo ad una di lavoro dipendente e viceversa è sempre più frequente. Nella discussione su un riordino degli Enti previdenziali anche questa questione deve essere affrontata e risolta. I contributi appartengono a chi li ha versati, e non si capisce in virtù di quale logica economica, politica e sociale si stabilisce, utilizzando gli anni di versamento, la linea di demarcazione tra i contributi utili e quelli a perdere. C’è infine un enorme bisogno di equità sempre disattesa. Oltre alla esigenza di armonizzazione tra pubblico e privato, crediamo fondamentale che si proceda alla unificazione delle regole previdenziali, abolendo privilegi ancora presenti tra i diversi tipi di lavoro. Le regole di calcolo e di accesso devono infatti essere uguali per tutti e la differenza nell’entità della prestazione dovrà essere esclusivamente frutto della quantità di lavoro, del livello di retribuzione e della contribuzione effettuata negli anni. Il mondo del lavoro non ha invidia sociale per le pensioni alte o anche altissime, esprime invece motivata indignazione per le sottigliezze normative che producono e consolidano privilegi di corporazioni e di casta.

CONCLUSIONI

La ridefinizione degli assetti degli Enti e delle finalità pubbliche, debbono essere parti di un progetto volto a realizzare gradualmente l’obiettivo della piena efficienza e razionalità della gestione delle prestazioni previdenziali, assistenziali e assicurative. I percorsi devono quindi essere discussi e condivisi tenendo conto sia delle esigenze di razionalità sia dei diritti dei soggetti interessati. Il sindacato non ha problemi a collaborare per ricercare obiettivi condivisi, con tempi definiti per le riforme che, dopo il confronto, il governo dovrà elaborare. Nessuno cerca pretesti per dilazionare le scelte, e confermiamo la disponibilità al confronto per attuare le riforme: non c’è quindi bisogno di strappi, che avrebbero come unico risultato quello di compromettere la funzionalità degli istituti a danno degli utenti, senza peraltro nessun reale risparmio per le casse pubbliche. Al contrario deve esserci una progettazione seria, che parta da uno studio adeguato e partecipato, capace di indicare con sicurezza i passaggi intermedi e i punti conclusivi di una riforma utile al sistema e ai destinatari sociali.

Il futuro degli enti previdenziali. Sintesi dell’intervento conclusivo di Domenico Proietti.

Con la proposta di riordino presentata oggi, la UIL dimostra ancora una volta di essere un sindacato dalla forte vocazione propositiva. La UIL è un sindacato veramente riformatore e, come tale, non teme di confrontarsi con i cambiamenti e lavora affinché questi siano rivolti sempre a migliorare la vita dei lavoratori e dei cittadini di questo paese. Ecco perché oggi abbiamo voluto presentare una nostra proposta organica nella discussione del riordino degli Enti Previdenziali. Una proposta contenuta nella relazione di Larizza che crediamo, come hanno confermato gli interventi nel dibattito, possa essere utile e proficua per il paese. Non un accorpamento senza senso di tutti gli Enti, ma un ragionamento più mirato che nei tempi opportuni possa portare ad una riorganizzazione per filiere che preveda, una volta a regime, un Ente di natura previdenziale – che gestisca la previdenza del settore pubblico e del settore privato, dividendo nettamente al suo interno le prestazioni di carattere previdenziale da quelle di carattere puramente assistenziale da finanziare con la fiscalità generale – e un Ente di tipo assicurativo che salvaguardi il carattere pubblico dell’assicurazione degli infortuni sul lavoro come indice di civiltà e di protezione del valore sociale, prima ancora che economico, del lavoro. Su questa proposta la UIL è pronta a confrontarsi con il Governo con l’obiettivo di migliorare l’efficacia e l’efficienza delle prestazioni e dei servizi che gli Enti Previdenziali forniscono agli utenti. L’obiettivo di conseguire risparmi, senz’altro auspicabile, è ottenibile solo a seguito di questa opera di riordino. Le cose dette stamani dal Ministro del Lavoro sono molto importanti e credo siano un buon viatico per iniziare un confronto su questi temi. La UIL si aspetta da tutto il Governo una politica più attenta alle esigenze dei cittadini, in questo come in altri ambiti. È per questo che chiediamo all’Esecutivo di affrontare con lo stesso spirito l’insieme dei temi legati al sistema previdenziale. Anche in questo campo gli interventi devono essere fatti per migliorare la vita delle persone, non per compromettere la certezza del loro futuro. Non si può sostenere che la revisione dei coefficienti di trasformazione per il calcolo della prestazione pensionistica debba essere applicata in modo automatico in quanto è prevista dalla legge Dini. Non si fa un buon servizio alla verità quando si fanno simili affermazioni in quanto, se è vero che la legge Dini prevedeva una revisione dei coefficienti ogni 10 anni, è anche vero che quella stessa legge prevedeva la partenza della previdenza complementare già dieci anni fa. Dieci anni per costruire una pensione integrativa adeguata che i lavoratori hanno perso e che nessuno potrà loro restituire. Per questo pensiamo che non si possa applicare la Legge Dini a commi alterni. La UIL propone quindi di rinviare al 2015 la verifica sui coefficienti, per non penalizzare ulteriormente quei lavoratori ai quali per dieci anni è stato di fatto impedito di finanziare efficacemente la previdenza complementare. Al tempo stesso chiediamo politiche di sostegno alla crescita e allo sviluppo del Paese, con interventi che mirino a rendere stabile la crescita del PIL ben sopra il 2%. Una crescita sostenuta che possa risolvere i problemi dell’economia e, al tempo stesso, quelli del sistema previdenziale italiano. Per salvaguardare il vincolo di bilancio della spesa previdenziale si deve puntare soprattutto alla definizione di politiche del lavoro che stimolino l’occupazione di qualità – e quindi anche una contribuzione adeguata – raggiungendo così gli obiettivi dell’agenda di Lisbona. Questo gioverebbe all’insieme del sistema economico. Per quanto riguarda il discorso aperto circa l’età di pensionamento, invece, la UIL continua a ritenere che occorre far leva sulla libertà di scelta del lavoratore, prevedendo incentivi sulla prestazione pensionistica futura che stimolino la permanenza volontaria al lavoro senza obblighi che possono soltanto produrre ingiustizie. Siamo convinti che questa sia la strada giusta e molti dati sono a confermarlo. Già oggi l’età media nella quale le persone vanno effettivamente in pensione è superiore ai 60 anni e i dati dell’Inps prevedono per il 2007 un calo significativo, del 21,6%, delle uscite dal lavoro anticipate rispetto all’età di vecchiaia. Questo a conferma che quella flessibilità prevista tra l’altro proprio dalla legge Dini è lo strumento più efficace per elevare l’età pensionabile senza strappi. Dai dati di previsione Inps, secondo i quali le pensioni di anzianità passeranno dalle 205.675 del 2006 alle 161.306 del 2007, risulta come la tendenza a rimanere al lavoro sia in sensibile aumento tra i lavoratori dipendenti a fronte, invece, di un evidente calo delle richieste di pensionamento di anzianità. Non solo, ma l’Inps stessa evidenza come l’incidenza della spesa pensionistica sul PIL sia in costante calo, sconfessando gli allarmismi e confermando, ancora una volta, la sostenibilità del sistema previdenziale italiano. È per questo che chiediamo che il confronto sia impostato sui dati reali e non su previsioni astratte. Le nostre proposte trovano fondamento in quei dati e sono orientate ad un’azione riformatrice vera, al servizio del paese e della sua gente. Si deve quindi puntare ad una crescita stabile e sostenuta, stimolando i consumi con la difesa del potere d’acquisto di salari e pensioni e promovendo politiche che stimolino l’innovazione e gli investimenti. La UIL è infatti fermamente convinta dell’assoluta necessità di una più equa distribuzione della ricchezza del Paese. Una ricchezza più equamente ed efficacemente diffusa è una condizione indispensabile per sostenere la crescita e lo sviluppo. Per questo, in merito alla discussione su come utilizzare le risorse del cosiddetto tesoretto, chiediamo che queste siano indirizzate ad adeguare i salari dei lavoratori, i loro rinnovi contrattuali e a rivalutare le pensioni maturate da contribuzione. Questo per la UIL è un punto dirimente e il suo accoglimento condizionerà tutto il nostro giudizio sul confronto in corso con il Governo. Distribuire e diffondere le risorse non è una richiesta corporativa ma significa dare nuova linfa al Paese e respiro all’economia, attivando un circolo virtuoso di ripresa dei consumi, degli investimenti e di fiducia nel futuro che giova, oltre che ai lavoratori, all’intero sistema economico. Di questo, come UIL, siamo fermamente convinti e chiediamo anche alle rappresentanze datoriali di fare politiche in questa direzione, valutando i benefici che anche per le stesse imprese scaturiscono da una redistribuzione più equa delle ricchezze a disposizione. A questo proposito mi viene in mente il testo di una vecchia canzone di Gorny Kramer dal titolo “Crapa Pelada”: “Crapa Pelada la fa i turtei,/ che ne dà minga ai so fradei./ I so fradei fan la fritada./ Che ne dan minga a Crapa Pelada.” Ecco, noi vorremmo che Crapa Pelada capisse l’importanza di condividere i tortei con i fradei e i fradei, al tempo stesso, comprendessero l’importanza di condividere la fritada con Crapa Pelada. Questa è la nostra visione di come dovrebbero essere i rapporti economici in una società complessa come quella italiana.