In occasione dell’8 marzo, Giornata internazionale della donna, vogliamo ricordare la specificità femminile dell’invecchiamento nel nostro Paese.
Le donne vivono di più. La durata media di vita delle donne è di 84,3 anni, contro i 79,1 anni degli uomini. All’età di 65 anni, la speranza di vita residua è di 18,3 anni per gli uomini e di 21,9 anni per le donne. Ci sono 137 donne ultra65enni ogni 100 uomini della stessa classe di età.
Sono la maggioranza delle persone ultra65enni (oltre 7 milioni su un totale di oltre 12 milioni e 200mila).
Sono la grande maggioranza delle persone ultra80enni (circa 2 milioni e 300mila su un totale di circa 3 milioni e 500mila).
Sono a maggior rischio di solitudine. Tra le persone anziane, le donne nubili, divorziate e soprattutto vedove sono assai più numerose degli uomini, mentre le donne sposate sono meno numerose. Tra le persone ultra65enni, le donne vedove sono oltre 3 milioni e 200mila, gli uomini vedovi sono circa 600mila. Tra le persone ultra80enni, le donne vedove sono oltre 1 milione e 600mila, gli uomini vedovi sono circa 300mila.
Sono la maggioranza delle persone disabili anziane, soprattutto nelle fasce più elevate di età. Sono la maggioranza dei pensionati italiani (il 53%).
Hanno pensioni di importo mediamente più basso rispetto agli uomini. Pur essendo il 53% dei pensionati, percepiscono il 44% del totale dei redditi pensionistici.
L’importo medio lordo annuo delle pensioni percepite dagli uomini è infatti pari a 18.029 euro, contro i 12.597 euro annui lordi percepiti in media dalle donne.
A ricevere pensioni di importo inferiore ai 500 euro mensili lordi sono il 16,8% delle donne e il 12,4% degli uomini. Mentre a ricevere pensioni di importo compreso tra i 500 e i mille euro lordi mensili sono il 39,1% delle donne e il 23,6% degli uomini. Oltre il 55% delle donne (sono circa 5 milioni) riceve quindi pensioni di importo inferiore ai mille euro, contro il 36% degli uomini.
Il differenziale tra donne e uomini resta, invertito, per le fasce di pensione di importo più elevato. Il 22,9% degli uomini riceve infatti pensioni di importo superiore ai 2mila euro, mentre solo il 9,2% delle donne (sono circa 800mila) riceve pensioni di questa entità.
Sono dunque a maggior rischio di povertà e di esclusione sociale.
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Contribuiscono in modo determinante alla tenuta del tessuto sociale. Sono impegnate nel volontariato. Producono ricchezza nel mondo del lavoro retribuito e soprattutto non retribuito, perché continuano a svolgere un ruolo fondamentale nel lavoro domestico e di cura all’interno delle famiglie, accudendo familiari disabili, nipoti, bisnipoti, coniugi, genitori e suoceri.
Questa forte specificità femminile dell’invecchiamento è però spesso ignorata. Le donne anziane hanno limitata visibilità e il loro fondamentale ruolo sociale è scarsamente riconosciuto.
Eppure, la società è fatta di uomini e donne, di persone giovani, di persone adulte, di persone anziane. Una società davvero a misura di individuo è una società che riconosce tutte queste specificità ed elabora politiche adeguate per ognuno.
Esiste inoltre una relazione stretta tra miglioramento delle condizioni delle donne nel nostro Paese e miglioramento generale della società.
Le donne, di tutte le età, sono un importante motore di sviluppo e una grande risorsa del nostro Paese.
Dare maggior spazio alle donne, a tutti i livelli, nel lavoro, nella politica, nelle istituzioni, nelle imprese, nel mondo dell’economia e della finanza, eliminando gli ostacoli oggi esistenti alla loro piena partecipazione alla vita politica, economica, sociale e nei luoghi dove si fanno le scelte, arricchisce il sistema Italia di professionalità e competenze.
Soprattutto in un momento di gravissima crisi come l’attuale, valorizzare e migliorare la condizione delle donne vuol dire contribuire alla soluzione di tanti problemi che ostacolano lo sviluppo e la ripresa dell’Italia. Vuol dire crescita dell’occupazione, crescita del Pil, costruzione di un welfare adeguato alla realtà che cambia, rilancio del Mezzogiorno, maggiori consumi, riduzione della povertà, minore necessità di politiche assistenziali. Vuol dire insomma migliore qualità della vita e maggior benessere per tutti.
8 marzo 2012