Lettera aperta di Romano Bellissima, Segretario generale Uil Pensionati
Gli attacchi contro il sindacato portati avanti dal Governo e dai suoi attivisti, ministri, boiardi di Stato, economisti di parte, ecc. e sostenuti da alcuni giornalisti compiacenti non si contano più e hanno raggiunto ormai un ritmo quasi quotidiano.
L’origine, la natura di questi attacchi è politica e risponde a una strategia ben precisa: togliere di mezzo o quanto meno ridimensionare il sindacalismo confederale, unico vero ostacolo allo smantellamento del welfare, dei diritti dei pensionati e dei lavoratori.
La cosa che dovrebbe far riflettere gli italiani è questa: come mai un sistema politico caratterizzato da liti continue, anche all’interno dei singoli partiti, si trova poi d’accordo e si ricompatta – destra, sinistra e centro – nell’attacco al sindacato? La spiegazione c’è. Il sistema politico attuale è composto da partiti liquidi e i liquidi per loro natura assumono la forma del contenitore del momento, contenitore che purtroppo oggi non viene prodotto in Italia. I partiti non sono più, come in passato, organizzazioni strutturate sul territorio, con propri organismi e solidi ideali da diffondere e sostenere. L’unico modo che hanno per conservare e conquistare il potere è far leva sulla propaganda, la demagogia, il populismo. Questa condizione pone i partiti in uno stato di inferiorità democratica nei confronti di altre forze organizzate e strutturate su tutto il territorio nazionale, come il sindacato, che ha milioni di iscritti e simpatizzanti con i quali quotidianamente si confronta su tutte le questioni che li riguardano.
Il Presidente del Consiglio non ha mai accettato il confronto con il sindacato. Si è, anzi, speso molto per tentare di ridimensionarne ruolo e funzione, sino a minacciare ‘leggi speciali’.
Gli attacchi sono architettati in modo da far percepire alla pubblica opinione i sindacati esattamente come i partiti, un’altra casta di corrotti e privilegiati.
Anche i partiti di opposizione condividono questa linea di attacco alle organizzazioni sindacali. Per quali motivi accade questo? A mio parere, per due ragioni principali. Innanzitutto perché, come le forze di maggioranza, sono anch’essi partiti liquidi. Anche nell’opposizione è ormai molto difficile applicare le tradizionali distinzioni tra destra, sinistra e centro. Così come è difficile trovare formazioni politiche che vogliono, e sono in grado di, contrastare il pensiero unico neoliberista.
La seconda ragione è che gli attuali partiti di opposizione sperano di vincere le prossime elezioni e diventare a loro volta maggioranza. In quel caso, non vorrebbero trovarsi di fronte un sindacato forte e strutturato col quale dover fare i conti. Lasciano quindi che sia Renzi a fare il lavoro sporco per indebolire e rendere inoffensivo il sindacalismo confederale in Italia.
Se si analizzano poi nel merito con attenzione le accuse al sindacato, si scopre che sono spesso banali e strumentali.
Il Presidente del Consiglio ha ad esempio affermato che nel sindacato “girano più tessere che idee”. Che nei sindacati ci siano molte più adesioni che nei partiti politici è del tutto evidente; che manchino le idee è tutto da dimostrare. Come fa il Presidente Renzi a dire che il sindacato non ha idee se non ha mai discusso (forse non ha mai letto) i documenti che i sindacati hanno prodotto e non ha mai avuto il coraggio di confrontarsi con loro?
Il Presidente Renzi preferisce frequentare i salotti buoni, come Cernobbio, dove gli si dà ragione a prescindere delle cose che dice, magari facendosi precedere da qualche promessa appetibile, come quelle fatte alla Coldiretti di eliminare l’Irap e l’Imu agricole, prima di andare alla loro manifestazione presso l’Expo di Milano. Quel giorno all’Expo, a pochi metri della manifestazione della Coldiretti, c’era anche l’iniziativa dei pensionati della Uil che, insieme ai rappresentanti dei pensionati del Brasile e alla presenza di un ministro dello Stato di San Paolo, discutevano della fame nel mondo. Lì il Presidente Renzi non si è fatto vedere, perché sapeva che i pensionati non l’avrebbero applaudito, viste le politiche attuate dal suo Governo nei loro confronti. Un Presidente del Consiglio che non ha mantenuto la promessa pubblica di estendere anche ai pensionati gli 80 euro dati ai lavoratori attivi e un Governo che ha ulteriormente penalizzato i pensionati non restituendo loro integralmente quanto maltolto dal Governo Monti.
Un altro attacco immotivato e inspiegabile è quello lanciato dalla ministra Maria Elena Boschi e dal presidente di Confindustria Squinzi, che hanno entrambi sostenuto che i sindacati hanno bloccato il Paese e impedito innovazione e sviluppo.
Alla ministra Boschi riconosciamo qualche attenuante, data la sua giovane età. Non ha infatti vissuto la storia economica e sociale del nostro Paese, specialmente quella degli Anni Novanta, e forse non ha avuto neanche il tempo di studiarla. È possibile che non conosca gli accordi interconfederali di quegli anni e che non sappia neanche che fu proprio grazie all’accordo interconfederale del 23 luglio 1993, meglio noto come l’accordo sulla politica dei redditi e l’occupazione, che si riuscì a realizzare un grandioso processo di risanamento economico, mai più ripetuto da nessun Governo – bocconiani compresi – che permise all’Italia l’ingresso già nella prima fase della moneta unica europea, come hanno poi onestamente riconosciuto il Presidente Ciampi e i maggiori economisti europei. La ministra può non sapere che quando nel 1992 l’operazione ‘mani pulite’ spazzò via i partiti della Prima Repubblica e l’Italia corse il rischio della destabilizzazione, furono ancora i sindacati confederali, i lavoratori, i pensionati, a costituire un riferimento democratico e un argine contro le spinte eversive.
E si potrebbe continuare ancora, ma forse è preferibile consigliare a tutti i detrattori di studiare la storia del nostro Paese e del movimento sindacale, prima di dire sciocchezze.
Il Paese, in verità, è stato bloccato dai tecnici, dai professori bocconiani, dall’arroganza dell’autosufficienza dei governanti improvvisati e dal loro rifiuto di ascoltare e confrontarsi con le forze sane del Paese.
Non possiamo, però, riconoscere le stesse attenuanti al presidente di Confindustria Squinzi, che quei tempi ha vissuto in prima persona, dandone, allora, un giudizio assai diverso dall’attuale. Una conversione al renzismo forse troppo interessata, considerate le politiche del Governo che hanno favorito gli imprenditori e la loro associazione? Certo è che il presidente Squinzi delude chi lo ha conosciuto in altre vesti e ha letto e ascoltato i sui discorsi fatti in altre epoche.
Purtroppo, questa è l’Italia di oggi, in cui prevalgono egoismi, individualismi e scarso senso dello Stato e della verità.
Gli attacchi contro il sindacato sono continui, incessanti. Ed ecco scendere in campo un altro pezzo da novanta, il professore bocconiano Tito Boeri, recentemente nominato da Renzi presidente dell’Inps. In questa veste, Boeri denuncia che molti sindacalisti percepiscono pensioni mediamente più alte dei lavoratori.
Bisognerà, anzitutto, spiegare a Boeri che in Italia tutti i lavoratori, gli artigiani, i commercianti, i preti, i sindacalisti, ecc. – esclusi i politici – vanno in pensione in base alla legge.
La prima domanda da farsi è: ci sono sindacalisti che percepiscono pensioni illegali? In tal caso, Boeri dovrebbe andare subito dal magistrato, non rilasciare dichiarazioni ai giornali.
Seconda domanda: questi sindacalisti hanno versato i contributi per avere diritto a quelle pensioni? Se sì, qual è il problema di Boeri come presidente dell’Inps? Se invece si trattasse di privilegi garantiti dalle leggi, Boeri deve sapere che le leggi in Italia le fanno i parlamentari, scelti dai partiti politici, non dai sindacati, né, purtroppo, dai cittadini. Se ci sono privilegi, storture, ingiustizie, incongruenze – e nel sistema previdenziale italiano ce ne sono parecchi – li ha prodotti, ancora una volta, la politica.
Un altro attacco teso a dimostrare che non c’è differenza tra sindacalisti e politici si basa sull’affermazione che anche tra i sindacalisti ci sono gli stipendi d’oro. Ora, che nelle grandi organizzazioni di massa ci possano essere casi, situazioni che sfuggono alle regole è sempre possibile ed è bene che il sindacato prosegua nell’opera di rafforzamento delle regole e dei controlli interni per evitare situazioni del genere. Affermare però che i sindacati sono come i partiti è una vera eresia.
Anzitutto, i sindacati utilizzano soldi privati, sono i contributi volontari dei lavoratori e pensionati a finanziarli, mentre la politica è finanziata da denari pubblici. Se un iscritto al sindacato non condivide più la linea sindacale o la gestione delle risorse ha tanti modi per intervenire e pretendere correzioni, fino a disdettare la delega e cessare così di finanziarlo. Nessun cittadino, invece, per quanto deluso, può dare disdetta alla politica, perché se non paga le tasse lo ‘spellano vivo’. Mi pare ci sia proprio una grande differenza.
Se poi si volesse spingere il confronto sul piano etico, basterebbe verificare quanti indagati, condannati, prescritti ci sono tra i componenti dei direttivi sindacali e quanti ce ne sono tra i componenti dei due rami del Parlamento. Con l’aggravante che i deputati e i senatori condannati, inquisiti ecc., sono spesso determinanti quando si votano leggi come quella contro la corruzione.
I sindacati confederali non temono minacce e intimidazioni e continueranno a battersi per il lavoro, lo sviluppo, l’equità, la giustizia sociale, la difesa del potere d’acquisto dei lavoratori e dei pensionati, la tutela dei più deboli a partire delle persone non autosufficienti, per la libertà e la democrazia.